IL TRIBUNALE Nel corso del processo celebrato nei confronti di Giachi Sergio, Bertini Alessandro e Tempesti Alessandra, tratti a giudizio per rispondere, in concorso tra loro, del reato di cui all'art. 319 c.p., a seguito della audizione del teste Fioravanti, il p.m. ha modificato l'imputazione riconducendola alla previsione dell'art. 318 c.p. Gli imputati hanno formulato richiesta di applicazione della pena nella misura di due mesi e venti giorni di reclusione, richiamando quella gia' a suo tempo depositata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento e presentata sul presupposto della qualificazione della condotta, appunto, nell'ambito dell'art. 318 c.p. La richiesta comprende la sostituzione della pena detentiva con la multa; in ordine a questo profilo e' stata sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 60, legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui esclude il reato in questione dalla possibilita' della applicazione delle pene sostitutive. Sulla richiesta di patteggiamento il p.m. ha prestato il consenso ed ha concordato con la difesa sulla fondatezza della questione di legittimita' costituzionale. La questione proposta non e' manifestamente infondata ed inoltre il giudizio penale in corso non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione accennata. Il tribunale ha verificato che non ricorre l'ipotesi di cui all'art. 129 c.p.p., ha accertato la correttezza della cornice giuridica della imputazione ed il ricorrere delle attenuanti generiche, ha valutato la congruita' della pena ai sensi dell'art. 27 della Costituzione, ma non puo' accogliere la richiesta presentata dalle parti per l'esclusione prevista dall'art. 60, legge n. 689/1981 con riferimento al reato di corruzione per un atto d'ufficio. Si impone pertanto la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione i cui termini sono i seguenti. Si deduce la irragionevole disparita' di trattamento fra reati che presentano una comune obiettivita' giuridica, o comunque che incidono nella medesima materia, sotto i profilo della sostituibilita' della pena ai sensi dell'art. 53 della legge n. 689/1981. La materia si caratterizza per il fatto che, da un lato, la esclusione dalla sostituibilita' di pene detentive brevi e' stata predisposta dal legislatore con il richiamo ad un criterio nominativo, e dall'altro che il sistema penale e' andato evolvendo nel tempo sia con l'ampliarsi dell'ambito di applicabilita' delle sanzioni sostitutive, sia con l'eliminazione del limite indicato dall'art 53, legge n. 689/1981 e costituito dalla natura dei reati (solo quelli di competenza del pretore). Cosi', l'art 60 che originariamente rispondeva ad un principio informatore razionale, nel tempo e' venuto a perdere questa sua caratteristica. Con l'intervento delle novita' normative citate si e' data la possibilita' di applicare l'art. 53 ad una serie di reati in ordine ai quali il legislatore del 1981 non si era posto alcun problema di esclusione oggettiva, certo di dover provvedere unicamente per quei reati per i quali la norma generale, altrimenti, avrebbe consentito la sostituzione. Si e' cosi determinato "uno squilibrio nell'intero microsistema delle esclusioni oggettive" (Corte cost. 3 aprile 1997, n. 78) che ha portato a numerose pronunzie di incostituzionalita' sotto il profilo della irragionevole disparita' di trattamento. Esse hanno riguardato l'art. 60 per l'esclusione dell'art. 590 c.p. secondo e terzo comma per i fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro. A seguito dell'attribuzione alla competenza del pretore del reato di omicidio colposo e per il mancato contemporaneo adeguamento del testo dell'art 60 nel senso della estensione a questo reato della disciplina prevista per le lesioni, il sistema penale era giunto alla irrazionale esclusione dal beneficio della sostituibilita' della pena di chi si fosse reso colpevole della infrazione meno grave, abilitando invece ad ottenerla chi avesse commesso il reato di omicidio. Ha posto rimedio la Corte costituzionale con la sentenza n. 249/93; questa decisione ha avuto un seguito con la sentenza n. 254/94 che ha affrontato il medesimo problema in materia di tutela delle acque dall'inquinamento. Si e' rilevato, anche in questo caso, che fattispecie aventi identica obiettivita' giuridica rispetto alla normativa denunziata, quella degli artt. 21 e 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319, pur essendo piu' gravemente sanzionate rimanevano ammesse alla sostituzione della pena. Analoga conclusione ha avuto l'esame della norma con riferimento ai delitti colposi contro la salute pubblica, posti a confronto con le previsioni di cui all'art. 23.3, d.lgs. 29 maggio 1991, n. 178 e 441 c.p. Anche in questo caso il contrasto era stato determinato - quanto al confronto con l'art. 441 c.p. - da un lato, dalla fissita' delle previsioni dell'art. 60 citato e, dall'altro, dalle modifiche apportate nel 1993 (eliminazione del limite costituito dai reati di competenza del pretore) e dalla affermata cumulabilita' della richiesta di patteggiamento e di applicazione di una sanzione sostitutiva. La possibilita' di ricondurre reati di maggiore gravita', rispetto a quello di cui all'art. 452 c.p., e caratterizzati dalla medesima obiettivita' giuridica, nell'alveo della applicabilita' dell'art. 53, legge n. 689/1981, ha avuto come conseguenza l'evidenziarsi di una arbitraria discriminazione. Analoga e' la situazione che si determina con riferiinento alla comparazione che oggi e' possibile fare tra la previsione dell'art. 318 c.p. (esclusa dalla sostituibilita') e l'art. 323 c.p. per il quale la riduzione della pena massima edittale al limite di tre anni, operato con la legge 16 luglio 1997, n. 234, ha determinato la possibilita' di applicare l'art. 53, legge n. 689/1981, con il solo ricorrere di una attenuante e della diminuente per il patteggiamento. Conduce a rilevare la irragionevole disparita' di trattamento fra le due fattispecie la comunanza di obiettivita' giuridica che deve essere riconosciuta ai due reati richiamati. E' questo il parametro che utilizza la Corte con la sentenza n. 78/97. Esso va riconosciuto in considerazione del fatto che entrambi i reati presentano il medesimo bene giuridico protetto, quello tutelato dall'art. 97 della Costituzione il buon andamento e l'imparzialita' della amministrazione. In sostanza il sistema penale prevede due distinte fattispecie, accomunate dall'identita' del bene giuridico protetto, sanzionate in ugual misura, e diversamente disciplinate quanto a sostituibilita' della pena senza che tale diversita' trovi alcuna plausibile giustificazione. Si impone cosi' l'accoglimento della eccezione con la sospensione del processo e l'inoltro degli atti alla Corte costituzionale.